Disdegno agg./s.m.
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Le accezioni del vocabolo sono diverse: 1 Sentimento di rifiuto e disprezzo, provocato da una valutazione negativa del valore di ciò a cui si rivolge. 1.1 [Rif. alla manifestazione dello stesso sentimento]. 1.2 Locuz. verb. Avere a, in disdegno, tenere in disdegno: provare un sentimento di rifiuto e disprezzo (in partic. provocato da una valutazione negativa del valore di ciò cui il sentimento si rivolge). 1.3 Locuz. verb. Avere in disdegno, essere disdegno: avere orrore di una certa azione, provarne ripulsa all'idea, rifiutarsi di compierla. 1.4 Fras. Essere a, in disdegno: essere oggetto di un sentimento di rifiuto e disprezzo. 1.5 Rifiuto e disgusto fisico. 1.6 Il sentimento di non provare interesse, di essere indifferenti a qsa (e quindi di non desiderarlo); la sua manifestazione. 1.7 Sentimento di fastidio, di irritazione, di rabbia. 1.8 Discordia, disaccordo, lite (?). 1.9 Il sentimento di chi si adira, si indigna, va in collera (in partic. causato dalla valutazione di qsa come interamente negativo). 2 Evento o circostanza tale da essere valutato interamente come negativo; causa di collera e indignazione. 2.1 Agg. Tale da provocare collera o indignazione. 2.2 Locuz. agg. Di disdegno tale da provocare collera o indignazione. 3 [Ret.] Parte finale di un discorso, tesa a suscitare l'indignazione dell'uditore.
Sul sito Tlio non è presente il vocabolo sdegno, quindi ho proceduto ricercando disdegno. Quest'ultimo deriva etimologicamente dal verbo latino deponente "dedignari" composto da "dignus", quindi ne conserva, almeno in parte, il significato. Oggi i due termini differiscono sottilmente per un significato più attenuato, lieve, nel caso di "sdegno" rispetto a "disdegno". Sul sito "Tlio" il vocabolo prende accezioni diverse: tutte però si riferiscono il più delle volte a una valutazione negativa di qualcuno o qualcosa che provoca in noi un sentimento di disprezzo, rabbia o discordia (può essere in merito a una valutazione negativa di un valore che si tiene in conto, come nel significato 1; oppure un disprezzo fisico come si legge nella definizione 1.5).
Jacopo Alighieri (1322), Inferno 19.97-99
[Continua] rammentandogli l'ardire (avere il coraggio), che per suo male aquisto di sua moneta il Re Carlo di Francia aparentando richiese, per lo quale sdegno non avendo il detto Re, a ciò consentito, la Cicilia con suoi trattamenti e altre terre assai finalmente perdere gli fece.
Jacopo Alighieri commenta il diciannovesimo canto dell'Inferno, quello della bolgia dei simoniaci. Nei tre versi annotati da Jacopo si prende in esame l'invettiva di Dante contro il Papa Niccolò III e, più generalmente, la corruzione della chiesa del suo tempo. In questo breve passo il figlio di Dante si concentra sulla perdita della Sicilia di Carlo d'angiò. Quest'ultimo, in seguito a contrasti politici con il Papa perse la Sicilia, a causa principalmente della ribellione dei Vespri Siciliani che fu sostenuta anche da Niccolò stesso che ci guadagnò del denaro.
Per concludere qui Jacopo fa un riferimento diretto allo sdegno di Niccolò III in seguito al rifiuto di Carlo I rispetto alla proposta di sposare una propria nipote con uno della stirpe angiolina.
L'utilizzo del termine sdegno potrebbe accentuare anche il sentimento di Dante nei confronti del Papa stesso e la sua simonia: più in generale contro la corruzione papale.
P. Pompeo Venturi (1732), Purgatorio 20.95
Fai comparire il tuo giusto sdegno, troppo dolce è indulgente, mentre sta lunga pezza nascosto negli arcani della tua sapienza, onde gli empj sempre più insolentiscono.
Il commento si riferisce al ventesimo canto del Purgatorio. Il vocabolo "sdegno" qui assume un una sfumatura diversa rispetto a quella usata da Jacopo Alighieri. Il concetto alla base è quello della giustizia divina. Pompeo Venturi parla direttamente a Dio e gli contesta la sua "eccessiva" benevolenza e il fatto che non mostri il giusto sdegno nei confronti dei peccatori.
Dante, allo stesso modo, tra i versi 93 e 96, domanda dritto a Dio quando potrà assistere a una giusta punizione per i peccatori.
In conclusione entrambe le frasi, nonostante mostrano un sentimento di frustrazione e rabbia nei confronti dell'indulgenza divina che è inaccessibile agli umani.
È importante notare inoltre che al verso 96 del ventesimo canto la parola "sdegno" coincide con il termine "ira" in: «O Segnor mio, quando sarò io lieto a veder la vendetta che, nascosa, fa dolce l'ira nel tuo secreto?».
La pietà è un tema molto ricorrente nella prima cantica della Divina Commedia in particolare nel V canto dove Dante si trova nel secondo cerchio e incontra i lussuriosi tra cui anche Paolo e Francesca.
È proprio questa coppia a provocare nel poeta una specie di predica morale per il loro peccato unito a un senso di pietà inteso come compassione.
Sono stati discussi a lungo i diversi significati che questa parola può assumere nell’opera e a darne una propria interpretazione, tra i vari letterati, è stato anche Boccaccio che vede nell’autore della commedia una presa di conoscenza di questo sentimento e del rimorso per aver commesso la medesima colpa di quelle anime e dunque la compassione (pietà) non è rivolta ai dannati ma a se stesso perché comprende che sarà condannato alla medesima pena se non si pente.
Sono proprio queste emozioni, troppo forti per il suo animo, che lo portano allo svenimento nella conclusione del canto.
Giovanni Boccaccio (1373-75), Inferno 5.70-72
In queste parole intende l'autore d'ammaestrarne che noi non dobbiamo con la meditazione semplicemente visitar le pene de' dannati; ma, visitandole e conoscendole, e conoscendo noi di quelle medesime per le nostre colpe esser degni, non di loro, che dalla divina giustizia son puniti, ma di noi medesimi dobbiamo aver pietà e temere di non dovere in quella dannazione pervenire e compugnerci ed affliggerci, acciò che tal meditazione ci sospinga a quelle cose adoperare, le quali di tal pericolo ne traghino e dirizinci in via di salute. E usa l'autore di mostrare di sentire alcuna passione, quando maggiore e quando minore, in ciascun luogo: e quasi dove alcun peccato si punisce, del quale esso conosca se medesimo peccatore.
Anche Torquato Tasso poeta, scrittore e drammaturgo della seconda metà del cinquecento dà 12 interpretazioni differenti della parola pietà nell’Inferno e una sola nel Purgatorio.
Un esempio dell’analisi che fa lo scrittore si ha nel canto 13 al verso 84 dell’inferno, canto in cui Dante incontra Pier della Vigna, intimo collaboratore di Federico II di Svevia, depositario dei suoi segreti.
Attraverso un’accurata analisi di ciò che ha scritto risulta che Tasso sostenga che Dante non provi pietà per Filippo Argenti, anima che incontra nel canto VIII e che ha peccato di incontinenza, ma bensì per Pier della Vigna che ha commesso un peccato considerato peggiore rispetto a quello di Argenti.
Questo accade perché il secondo personaggio rappresenta l’alter ego di Dante e ciò lo porta a ricevere una giustificazione del suo gesto di morte da parte del poeta nonostante l’autore condanni i suicidi.
Torquato Tasso (1555-68), Inferno 13.84
Ha pietà di Piero, e non di Filippo Argenti, benchè Piero, secondo la dottrina di Dante, sia vizioso, e Filippo incontinente.
Attraverso la lettura delle prime due cantiche della commedia e l’analisi dei dati ricavati dal DDP (Dartmouth Dante Project) si può notare come le parole pietà e sdegno siano molto più frequenti nell’inferno, dove prevalgono sentimenti di angoscia e dolore, che nel Purgatorio dove si ha la speranza della salvezza.
Molti autori, più o meno conosciuti, si sono cimentati nel provare a dare una propria interpretazione alle parole scritte da Dante infatti la parola pietà è stata commentata circa 2387 volte mentre sdegno 1072 volte.
Da ciò si può dedurre come la prima parola ma anche la seconda non abbiano un significato unico ma possano assumere numerose sfumature differenti infatti la parola pietà può indicare “misericordia, compassione o compatimento” mentre sdegno “disprezzo, rifiuto, indifferenza o indignazione”.
Queste sono state usate ampiamente con il trascorrere dei secoli; infatti, attraverso l’analisi dei grafici ricavati da Google ngram viewer, si può osservare come l’utilizzo di questi vocaboli abbia raggiunto il picco massimo intorno al 1700, anni in cui si ha un miglioramento economico e sociale e in cui si hanno grandi scoperte, per poi andare verso un lento declino del loro utilizzo a partire dal 1900.